Un castello, una cinta muraria e una cittadella, fanno del complesso di Acaya una preziosa testimonianza del feudalesimo nel Salento.
Nei pressi di Vernole, a pochi chilometri da Lecce, sorge il castello di Acaya, abbracciato da possenti mura e da un ampio fossato.
È considerato uno dei migliori esempi di architettura difensiva rinascimentale di Terra d’Otranto, il Castello d’Acaya veglia il piccolo borgo custodendo secoli di storia.
Il borgo fortificato, modello di città ideale che svela sin dal suo concepimento la volontà di unire alla sicurezza delle architetture l'operosità del suo popolo.
Nel complesso sistema di difesa voluto dall'Imperatore Carlo V si inserisce la cittadella fortificata di Acaya, quasi un avamposto a difesa della città di Lecce, che dopo Napoli e Palermo rappresentava la terza capitale del Regno.
Il sito di Acaya non è casuale, nè il castello e le mura possono essere considerate una semplice applicazione del genio di Gian Giacomo.
L'antico casale di Segine, chiamato poi Acaya, si trovava all'incrocio di due importanti strade: la San Cataldo-Roca Vecchia e la Lecce-Roca Vecchia. Nodo viario di interesse strategico e commerciale, Acaya doveva far parte del nuovo assetto difensivo che si articolava in una serie di torri costiere e di torri-masserie disposte secondo una logica ben precisa.
Prima di entrare nella cittadella fortificata, la mole del castello s'impone maestosa ed elegante a chi proviene dalla strada Strudà-Acaya e si fonde mirabilmente con le perfette murature a secco che chiudono i "giardini" della fortezza. Sul torrione cilindrico, coronato da un parapetto sorretto da archetti e beccatelli un raffinato festone sostenuto da due puttini alati racchiude lo stemma dei dell'Acaya.
Più in là, da un ombroso fossato, emerge una breve cortina che racconta il torrione cilindrico allo sfrecciante baluardo del 1536. Uno stemma dei dell'Acaya conferma la lunga presenza della nobile famiglia in questo importante feudo.
Oltrepassando la porta siamo nel vasto largo del castello, un tempo la piazza del borgo al cui centro oltre a varie fosse granarie c'era un grande "pozzo sorgente". Alla nostra sinistra, una bellissima finestra dai delicati motivi rinascimentali arricchisce un tratto cadente della cortina; a questa cortina si aggancia la torre nord-est del 1506, alla quale, a sua volta, è appoggiata la cortina settecentesca che contiene l'ingresso al castello, il cui archivolto è sormontato dall'arma dei Vernazza, gli ultimi feudatari del ricco feudo di Acaya.
Da un androne arriviamo nel cortile del castello: due lati contigui (cortina nord e cortina ovest) sono crollati, dai ruderi s'intravede l'abside di una cappella. Sulla sinistra, invece, in corrispondenza del primo piano, si apre una elegante finestra cinquecentesca. I locali a piano terra erano destinati a deposito, scuderie, carceri e abitazioni per la servitù.
Il castello infatti più che una struttura militare è una nobile residenza baronale fortificata, e ciò e testimoniato dalla presenza di ampi saloni e dalla magnifica sala ennagonale impreziosita dal bellissimo fregio che sottolinea la copertura cupoliforme.
La pianta del castello è a forma trapezoidale e insieme alle forti sporgenze delle torri cilindriche costruiva un efficace sistema difensivo. Torri, cortine e bastioni sono costruiti in pietra leccese e sono difesi da un doppio ordine di casamatte.
Morto Gian Giacomo nel 1570, il feudo di Acaya passò al regio fisco, quindi alla famiglia dè Monti e poi ai Vernazza. Fu proprio con i Vernazza che il castello fu trasformato in elegante "palazzo".
Usciti dal castello vale la pena fare una passeggiata all'interno della cittadina, dove le strade si tagliano perpendicolarmente. All'esterno, un profondo fossato corre per tutto il perimetro delle mura, in parte obliterate da recenti costruzioni.
Ritorniamo sul piazzale antistante la porta e dirigiamoci verso Vanze ( altra frazione di Vernole) e da qui procediamo per Acquarica (ancora frazione di Vernole), dove possiamo fare una breve sosta per osservare un piccolo castello edificato da Giovanni Maria Guarini nel 1549, appena due anni dopo l'avvistamento di diversi contingenti di turchi sui mari salentini.
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